The maze. Il Labirinto


Da un labirinto si esce.

Da una linea retta no.
(Miguel Ángel Arcas)

È il tempo di dedicare un articolo agli adolescenti.

Non posso non dare valore al dono che mi stanno portando in psicoterapia in questo tempo.

È stato ed è per me sorprendente ma la maggior parte degli adolescenti che seguo sta portando un sogno comune: “il labirinto”.

È con loro che sto significando questo simbolo. Il labirinto, inteso come architettura è sempre stato la metafora di ciò che non ha via d’uscita.

Quando ho chiesto loro a cosa gli facesse pensare molti lo hanno associato al labirinto di Creta, lì dove è celata la legenda del Minotauro, mostro, metà uomo e metà toro imprigionato al suo interno, al quale venivano offerti giovani vittime.   

Questi ragazzi dopo un anno di Covid, stanno vivendo le loro case come dei labirinti, spazi dai quali sembra non esserci via d’uscita. Tutto viene vissuto dentro 4 mura, la scuola e gli amici ormai hanno perso la loro tridimensionalità. Questi ragazzi sono disorientati, si sentono senza indicazioni rispetto alla vita.

Calvino, all’interno de “Le città invisibili” descrive uno spazio vuoto nel quale il protagonista deve trovare qualcosa che però non può vedere, toccare e percepire. La città di Pentesilea è il simbolo del nostro mondo attuale.

E’ con i miei giovani pazienti che sto facendo nascere la riflessione rispetto al fatto che il labirinto ha una via d’uscita e come Teseo devono srotolate il filo per tutta la durata del percorso. Si perché l’unica possibilità per uscire da questo periodo che sembra un quadro di Escher “una figura impossibile” è mantenere il filo, “il filo del legame”, il legame con le cose che amano.

Dott.ssa Mariachiara Pagone

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