Il grido


Da quando il Covid-19 è arrivato in Italia ho cercato di documentarmi esclusivamente attraverso notizie certe e pubblicate da fonti attendibili. Ho preferito studiare i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità piuttosto che dare credito a chiacchiere di quartiere o ad interventi inconsistenti rilasciati da personaggi di dubbio valore nei patinati salotti televisivi ricolmi di esperti improvvisati.
Il mio lavoro, il lavoro dello “stare accanto” che si traduce in ascolto “attivo” e in vicinanza reale ha sostenuto anche me in questo tempo dai confini incerti. In quel momento, e ciò accade spesso e con rinnovato stupore, sentivo che la mia anima era un tutt’uno con quella del mio paziente. Ci sentivamo uniti da un qualcosa di realmente profondo.
Il sentirmi dire dai miei pazienti come stessi e come stesse la mia famiglia, il loro interesse per me, mi ha donato tutto quello che, in tutti i miei anni di studio e di impegno, mai avrei potuto immaginare.
Nei giorni scorsi, alla sera, ho acceso la televisione nel tentativo di capire qualcosa in più su questa tanto attesa “fase 2”.
Ed è stato qui che è emersa in me una riflessione profonda che ha tuonato nella mia testa nel momento in cui ho sentito “il grido” degli uomini, dei genitori che non sanno più nutrire i propri figli. C’è chi parla di suicidio, chi impegna la fede nuziale al banco dei pegni, chi deliberatamente compie atti impensabili fino a pochi giorni fa.
Vedere quegli occhi privi di speranza e colmi di dolore mi ha addolorato molto.
Come si può restare distanti e distratti a tutto questo?
Il dolore gridato è tanto, è forte, è assordante, chiude lo stomaco ma non chiude il mio pensiero e rifletto alle parole di Lacan sul tema della responsabilità della risposta.
La parola implica sempre una risposta. Quando si parla, la parola è sempre orientata verso l’Altro, cioè verso chi ascolta. Lacan ci fa soffermare su un grande insegnamento che spero giunga al governo, ed è l’insegnamento sul grido.
Massimo Recalcati avvicina questo grido del bambino sommerso dal pianto, il quale si lamenta e piange disperato. Il pianto è diretto all’Altro, ma se nessuno lo ascolta, questo pianto cadrà nel vuoto, come il grido di Munch diventa un urlo infinito “perché privo di destinatario”. “Il pianto del bambino può diventare una significazione solamente se c’è l’altro che lo ascolta e se un Altro gli risponde”.
Solo se l’Altro risponde al pianto si può attribuire ad esso retroattivamente un significato.
Solo la madre risponde al figlio ed interpreta il suo pianto, lei dà ad esso un senso, da ad esso una significazione e allevia il dolore e l’angoscia inconsolabile.
Ecco che il grido della gente, il suo pianto non può non essere ascoltato.
Esso ha bisogno di essere significato, perché se nessuno ascolta il grido, esso cadrebbe nel puro non senso, in un vuoto che prima o poi ci trascinerà con sé.


Al governo “abbiamo bisogno di aiuto”.

Dott.ssa Mariachiara Pagone
A nome dell’Italia e degli Italiani

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Il grido di Munch

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