Il dolore di una collettività


Nel corso del tempo sono state fornite molte definizioni differenti del concetto di trauma. Il termine ha un origine complessa: il suo difficile inquadramento concettuale deriva dal suo legame con l’ ambito medico, secondo il quale l’organo traumatizzato a quello che riporta una lesione ad opera di un oggetto esterno, che ne inficia il normale funzionamento.

Dal punto di vista etimologico la parola trauma deriva dal greco e significa perforare, danneggiare, ledere, rovinare e contiene un duplice riferimento a una ferita con lacerazione, ed agli effetti di un urto, di uno shock violento sull’insieme dell’organismo.

 

In questi giorni la nostra collettività sta vivendo un dolore grande rispetto all’incendio che sta colpendo il nostro territorio. E’ una settimana che affacciandoci alle nostre finestre non vediamo altro che fumo, fuoco  e disorientamento.

Il simbolo del nostro territorio, la montagna è¨ stato attaccato, violentato e  violentata è la collettività  tutta.

Per Jung  “la montagna ¨  è un simbolo profondamente legato all’ evoluzione psichica del sognatore, alla sua maturazione psicologica ed al suo percorso di individuazione.

Secondo Marie Louise Von Frantz:

La montagna indica il luogo, la tappa della vita, dove l’eroe dopo ardui sforzi ( la scalata) comincia ad orientarsi, ad acquistare fermezza e conoscenza di sé. Questa qualità  si affina nello sforzo di divenire consci, attraverso un processo di individuazione.

( M.L.Von Frantz -Le fiabe interpretate)

 

Il dolore non è¨ uguale per ciascuno di noi ed ognuno lo elabora in modo diverso, diverso come diverse sono le nostre individualità.

C’è chi insulta e aggredisce le istituzioni, chi ha bisogno di dare il massimo per risolvere il problema, c’è chi non ne parla affatto.

Beh se lo riuscissimo a guardare con un occhio più critico ci renderemo solo conto che stiamo vivendo un lutto ed ogni lutto ha bisogno di essere elaborato.

E’ la nostra impotenza che prende forma nel nostro modo di esprimerci.

La violenza arrecata ai nostri monti e stata forte. Le nostre montagne sono il nostro contenitore, cosi come una madre cinge le braccia intorno al bambino così le nostre montagne ci abbracciano e ci proteggono. Noi un territorio definito “nella conca”, non siamo altro che un territorio abbracciato.

Vederlo aggredito ci mostra la possibile “perdita di una madre”.

Ci stiamo preparando a vedere il nostre orizzonte cambiato, deturpato. E’ come l’acido su un volto è come un bombardamento.

Il senso di impotenza ci causa rabbia e frustrazione.

Bion diceva che il cambiamento ¨ catastrofico : quel momento inevitabile in ogni processo di evoluzione e crescita. […] Il nuovo contiene una forza potenzialmente distruttiva, che sconvolge in grado maggiore o minore la struttura del campo nel quale si manifesta,[…] una struttura si trasforma in un’altra attraverso momenti di disorganizzazione, dolore e frustrazione; la crescita sarà  in funzione di queste vicissitudini […]

Ma come ogni madre la terra ha una sua grande dote, la plasticità , la capacità  a trasformarsi e a riorganizzarsi come una donna durante una gravidanza. Essa è¨ capace di accogliere il nuovo e di affrontare i suoi dolori con l’aiuto delle persone a lei care.

Ecco che per vivere questo momento dobbiamo avvicinarci l’uno all’altro e soffermarci a pensare al dolore che stiamo vivendo per poter far risorgere la nostra collettività .

 

Dott.ssa Mariachiara Pagone

 

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