In psicoanalisi la gelosia è «interpretata in chiave di pulsione, vale a dire di un’eccitazione interna profondamente radicata nell’inconscio alla quale non ci si può sottrarre: la si può solo scaricare in vario modo ed eventualmente sublimare» (Treccani, 2006). Le sue radici si ritrovano nel “triangolo sessuale” tra madre padre e bambino noto come “complesso edipico”.
Freud definiva il complesso edipico una tappa indispensabile per lo sviluppo psicosessuale del bambino.
Nella prospettiva freudiana il complesso di Edipo, a cui si lega il tema della gelosia, è ispirato al famoso dramma greco scritto da Sofocle << Edipo, re carismatico e molto amato nella città di Tebe, nel giro di un giorno apprende la verità sulle sue origini, in particolare scopre che sotto il peso di una maledizione divina ha ucciso suo padre ed ha generato dei figli con sua madre, per questo motivo reagisce accecandosi, perde il titolo di re e chiede di andare in esilio.>>
La scoperta del complesso edipico si rintraccia negli scritti di Freud all’amico Fliess nel 1897 lì dove scrive di essersi reso conto di quelli che erano i suoi sentimenti d’amore verso la madre e di gelosia verso il padre. Si rintraccia il carattere universale del complesso di edipo in quanto anche nell’interpretazione dei sogni egli affermerà che è destino di tutti quello di rivolgere i primi impulsi sessuali verso la propria madre e il primo odio verso il padre.
Non è altro che l’insieme organizzato di desideri amorosi e ostili che il bambino prova nei confronti dei suoi genitori. Nella sua forma detta positiva, il complesso si presenta come nella storia di edipo re, nella sua forma negativa, esso si presenta capovolto: amore per il genitore dello stesso sesso e odio geloso per il genitore del sesso opposto. Secondo Freud il complesso di Edipo raggiunge la sua acme tra i tre e i cinque anni, durante la fase fallica, e il suo declino segna l’entrata nel periodo di latenza. Alla pubertà subisce una reviviscenza ed è superato con minore o maggior successo in un tipo particolare di scelta d’oggetto. Il complesso di edipo svolge un ruolo fondamentale nella strutturazione della personalità e nell’orientamento del desiderio. L’espressione complesso di edipo compare negli scritti di Freud soltanto nel 1910/1911 ma il contesto mostra che era già ammessa nell’uso psicoanalitico.
Così come il bambino desidera la madre tanto che vorrebbe sposarla ed è contento delle assenze del padre, anche la bambina non perde occasione di mostrare l’attaccamento affettuoso verso il padre e il desiderio di eliminare la madre per prenderne il posto, ma anche lei deve fare i conti con il complesso di castrazione e con l’“invidia del pene” ad esso associato.
Aspetto fondamentale della vita psichica della donna è che il complesso di castrazione si configura come presupposto e non come conseguenza del castigo: la bambina sa che gli manca qualcosa e immagina «di aver posseduto una volta un membro altrettanto grande e di averlo in seguito perduto per evirazione» (Freud, 1924 p. 32).
Secondo Freud la bambina incolpa la madre per l’assenza del pene e invidia il padre perché lo ha, dunque sviluppa sentimenti ambivalenti verso entrambi i genitori: questo processo, poi definito “complesso di Elettra” da Jung (1985), mette ancora una volta in evidenza il legame indissolubile che intercorre fra invidia e gelosia.
In uno sviluppo sano, identificandosi con il padre, assumendone la severità e il tabù dell’incesto, il bambino sarà in grado di sublimare o di inibire nella meta le tendenze libidiche, trasformandole in moti di tenerezza e affetto, allo stesso modo, nella bambina, venendo meno l’angoscia dell’evirazione, l’impossibilità di avere un pene o di generare un figlio col padre determinerà il lento abbandono del complesso edipico, mentre invece la sua mancata risoluzione costituirà il fattore primo per lo scivolamento nella patologia (1924).
Strettamente connessa al complesso di Edipo ed al sentimento di rivalità provato nei confronti del padre, è quel tipo di gelosia definita da Freud “competitiva o normale”, la quale è «essenzialmente composta dall’afflizione, il dolore provocato dalla convinzione di aver perduto l’oggetto d’amore, e dalla ferita narcisistica, ammesso che questa possa essere distinta dal resto; infine, da sentimenti ostili verso il più fortunato rivale, e da una dose più o meno grande di autocritica che tende ad attribuire al proprio Io la responsabilità della perdita amorosa.>>
Anche se la chiamiamo normale, questa gelosia è profondamente radicata nell’inconscio, è la continuazione dei primissimi impulsi della vita affettiva infantile e trae origine del complesso edipico o da quello fratello-sorella del primo periodo sessuale» (Freud, 1921 p. 367).
Freud distingue questo tipo di gelosia da altre due forme, quella “proiettata” e quella “delirante”, le quali scaturiscono entrambe dalla rimozione di tendenze all’infedeltà, che vengono proiettate sul partner al fine di alleviare la tensione che ne deriva, ma si differenziano in relazione alla resistenza manifestata nel lavoro analitico di svelamento di queste fantasie inconsce di infedeltà, che risulta minore nella gelosia proiettata e maggiore in quella delirante. Altra distinzione si ha con l’oggetto delle fantasie: diversamente dalla gelosia proiettata in quella delirante l’oggetto è dello stesso sesso del soggetto. La gelosia delirante altro non sarebbe che una difesa da una forma di omosessualità latente che «potrebbe essere descritta (nel caso dell’uomo) mediante la formula: “Non sono io che lo amo, è lei che lo ama”» (Freud, 1921 p. 369).
Dr.ssa Mariachiara Pagone