Il film “La luce sugli oceani” in programma in questi giorni sulle sale è stato giudicato un film in cui “Cianfrance resta impantanato nelle atmosfere del peggior melodramma, tra sentimentalismi ridondanti, colpi di scena prevedibili e scontati, stereotipi psicologici che fanno lentamente scivolare la narrazione nell’anonimato.” Non sono uno specialista del settore cinematografico ma come psicologa mi sono soffermata su un tema. L’Aborto. Credo sia un film dai grandi temi quali la speranza e il perdono e se fossero davvero ridondanti, beh, ben fatto li stiamo dimenticando!!
In concomitanza della ricorrenza della festa della mamma non ci si può non soffermare su questo tema.
L’aborto è una parola scomoda e spesso difficile da pronunciare. Parola che dal latino significa “privazione del nascere”.
Desidero parlare di questo tema (che non racchiude solo l’interruzione volontaria di gravidanza, ma anche l’aborto spontaneo e l’aborto terapeutico), andando oltre le scelte ideologiche, vorrei fermare lo sguardo su chi è stato coinvolto in questo dolore.
Desidero esprimere ciò che spesso non viene raccontato, ma che abita nel cuore di chi si è imbattuto, per una ragione o per l’altra, in questo tipo di esperienza.
E’ importante dar luce, sia ai messaggi sull’aborto che scorrono nella società e sia a ciò che accade a chi ha vissuto concretamente questa drammatica esperienza.
Spesso si sente parlare dell’interruzione di gravidanza come sollievo, come guadagno, anche quando si tratta di aborto spontaneo o terapeutico. Il messaggio che passa è quello di un’azione che elimina un problema. Per la donna, però, è una perdita, più o meno consapevole.
Sin dal concepimento l’identità della donna subisce delle trasformazioni.
L’aborto si porta via la gravidanza, il feto, a volte “il problema”, altre volte “il sogno”, ma anche una parte della donna: parte del suo corpo, progetti, fantasie e identità.
La società da una parte sostiene la donna e la sua scelta, ma contemporaneamente nega e nasconde la sofferenza che ne deriva.
Si proibisce alla donna l’espressione della sofferenza. Ella sente che non c’è posto per esprimere ciò che vive: dolore, smarrimento, senso di colpa, e vuoto.
Se la vita del bambino non è nota, la sua morte non può essere riconosciuta e il lutto non può essere così elaborato.
Quando si parla di aborto spontaneo, questo spesso viene “normalizzato” e “medicalizzato”, quasi sminuito: “Non pensarci”, “Ne farai un altro”.
La donna molte volte si trova spinta a tacere. Cerca di dimenticare in fretta ed eliminare presto questo brutto ricordo, ma se non elabora realmente il lutto che ha vissuto rischia che questo diventi ancora più grande.
La sofferenza è spesso tenuta segreta, il dolore viene pietrificato e il bambino così diventa un segreto tra loro, spesso anche all’interno della coppia non se ne parla.
Quando si tenta di congelarle, anche il rapporto di coppia subisce delle ripercussioni e spesso “si raffredda” un po’ anche l’intimità della coppia, apparentemente senza alcuna motivazione.
Nascondere il dolore, imporsi di non pensarci, evitarlo è pericoloso poiché accentua la vulnerabilità e il senso di solitudine della persona contribuendo al suo isolamento.
Questa sofferenza, naturale e fisiologica, se non viene espressa può portare a delle vere e proprie patologie.
Sono patologie diverse, che vanno da incubi, flash back, ansia, calo dell’umore, assenza di desiderio, sino a episodi depressivi o, nei casi più gravi, presenza di deliri e di allucinazioni.
Altre volte, il vissuto viene allontanato e si presenta successivamente, a volte anche anni dopo o in concomitanza con una nuova gravidanza.
Il bimbo che non ha visto la luce, spesso diviene un fantasma, che non ha nome con cui essere ricordato e non ha un luogo dove possa essere pianto: tutto questo accresce il senso di solitudine e di vuoto.
La sofferenza si può superare, ma bisogna attraversarla.
Le donne che hanno abortito, portano la loro vita come avvolta nel buio e si sentono incapaci di uscire da un senso di oppressione, paura, solitudine e buio . Nel silenzio piangono il bimbo mai nato.
Penso che una luce, come quello del faro, possa essere trovata nel momento in cui si decide di attraversare quel buio.
La sofferenza se attraversata porta, alla restituzione di una parte di sé che se n’era andata al momento dell’aborto ed alla formazione di una nuova identità.
Dott.ssa Mariachiara Pagone