La domanda è come mai chi deturpa, lo fa aggredendo le opere d’arte?
Si deve ricorrere, per rispondere al quesito del perché le persone vengono spinte ad aggredire capolavori artistici, non solo alla psicologia ma anche alla neuro estetica. Tale neologismo è stato ideato da Semir Zeki un neuro scienziato.
Tra i copolavori deturparti ricordiamo la Pietà di Michelangelo che, nel 1972, la tela Black on Maroon di Mark Rothko, il capolavora di Raffaello – Madonna di Foligno, il David di Michelangelo e tanti altri…
Questi sono solo alcuni esempi, tanti eventi simili si sono verificati, per mano di persone diverse. Non è facile comprendere cosa smuova le persone a sfogare la loro rabbia e la loro aggressività verso le opere d’arte. A volte possono essere azioni mosse da persone squilibrate, artisti falliti che riversano la loro insoddisfazione sui capolavori altrui, come nel caso di Cannata, dove un ex studente imbrattò a colpi di pennarello i Sentieri ondulati di Jackson Pollock.
Ma cos’è che scatena questa aggressività?.
Da qualche anno le neuroscienze hanno cominciato ad interessarsi all’arte, per provare a capire quali siano le reti neurofisiologiche che permettono di distinguere il bello e il brutto di un’opera d’arte.
La neuroestetica disciplina nata nella seconda metà degli anni Novanta, derivata dalle neuroscienze, si pone l’obiettivo di esplorare le basi neuronali dell’esperienza artistica. Secondo Zeki l’arte e in particolar modo la pittura, è uno strumento straordinario per studiare i processi nervosi attraverso cui il cervello percepisce la realtà e per indagare in modo scientifico le basi neuronali dei processi cerebrali che governano il godimento di un’opera d’arte.
Egli si è per molto tempo occupato dei rapporti esistenti fra immagini artistiche e operazioni del cervello visivo: “[…] il cervello partecipa attivamente alla costruzione di ciò che vediamo e, facendo ciò, investe di senso i molti segnali che gli pervengono acquisendo, dunque, conoscenza del mondo”.
Quando viene realizzata un’opera d’arte, l’artista vi fa entrare segni e simboli, elementi storici e culturali dell’epoca e dei luoghi in cui è vissuto; quando l’ osservatore si trova di fronte ad un capolavoro può avere una variabilità di reazioni connesse alla sua personalità, alla sua storia e all’ambiente in cui si svolge l’esperienza estetica. Diverse le aree del cervello che si attivano quando formuliamo un giudizio estetico.
Quando un’opera entra nel nostro campo visivo e formuliamo un giudizio estetico positivo, insieme alle aree cerebrali occipitali deputate alla visione, viene attivata l’area orbito-frontale mediale, mentre se il nostro giudizio estetico è negativo si attiva la corteccia motoria sinistra.
Negli ultimi quindici anni la fisiologia della fruizione artistica si è arricchita di un elemento rilevante, il cosiddetto rispecchiamento, che si attua attraverso una classe di cellule nervose corticali: si tratta dei neuroni-specchio capaci di elaborare, simultaneamente, una rappresentazione dei propri atti ed una rappresentazione degli atti altrui.
Tale meccanismo, definito simulazione incarnata, è un fenomeno per il quale chi rileva un’azione non solo la percepisce, ma anche la simula internamente.
I neuroni-specchio riguardano anche le emozioni, le sensazioni, gli affetti e, come sostengono Freedberg e Gallese, persino l’osservazione di immagini statiche di azioni stimola l’atto di simulazione nel cervello dell’osservatore. Tale affermazione è molto interessante in quanto va a spiegare come ogni volta che ci si trova dinanzi ad un’immagine statica (come anche un’opera d’arte) si attiva il processo della simulazione incarnata, questo produce nell’osservatore una reazione di tipo empatico ed emotivo.
Quando guardiamo corpi umani raffigurati sulla tela, il corpo dell’osservatore reagisce come se fosse esso stesso direttamente coinvolto nella scena raffigurata.
Per ciò che riguarda le implicazioni empatiche quando ci troviamo di fronte ad una scultura, dobbiamo rivolgerci al filosofo Herder, che, nel suo studio dedicato alla scultura, va a descrive l’incontro tra la statua e l’osservatore. Egli spiega come la nostra anima si incarna nel corpo estraneo e si istituisce una vera e propria simpatia (o antipatia) interiore che pervade il corpo che si confronta con la scultura. Ecco perché il David , simbolo per eccellenza di bellezza ed armonia, può provocare violenti turbamenti emotivi mossi da invidia e gelosia per tanta perfezione, che possono persino sfociare in un istinto vandalico.
Ecco che il desiderio di danneggiare l’opera serve a riaffermare il proprio “ Io” messo in pericolo.
Dr.ssa Mariachiara Pagone