Indivisibili


Nei giorni passati ho avuto modo di vedere un film “Indivisibili” dello sceneggiatore Nicola Guaglianone e musiche di Enzo Evitabile. Questa pellicola mi ha permesso di fermarmi a pensare il tema della separazione, nelle sue più svariate forme.  L’angoscia di separazione, è un tema introdotto da Otto Rank nel 1924 partendo dal  trauma della nascita. Questo  riferimento è caratteristico delle relazioni a partire dalla relazione primaria madre-bambino.

Il bambino vive nella totale dipendenza dalla madre, il neonato può vivere la separazione da essa come un evento drammatico, tale vissuto può ripercuotersi in modo negativo sulle future separazioni adulte e prima ancora sul vissuto di quei processi indispensabili di separazione che sono lo svezzamento, la crescita, l’adolescenza e la maturità.

Nel caso di un superamento non felice di queste primissime angosce infantili di separazione, anche il vissuto della morte come separazione definitiva non sarà facilmente elaborabile. La Klein nel 1935 sottolinea come nel corso dello sviluppo il bambino vada inevitabilmente incontro a situazioni di separazione o di perdita, le prime e più significative delle quali riguardano la nascita e lo svezzamento. Proprio lo svezzamento connesso con la separazione dalla madre e l’ingresso nella posizione depressiva, rappresenterebbe il modello di tutte le perdite successive.

Bion, postkleiniano, sottolinea la capacità innata del bambino di far fronte alle frustrazioni che inevitabilmente la madre, provoca in lui.

Le frustrazioni di origine orale sono collegate alla separazione, come nel caso dello svezzamento, o di frustrazioni edipiche precoci legate alla presenza della figura del padre.

Grazie alla sua capacità di rêverie, la madre potrà accogliere l’angoscia di morte che si accompagna nell’infante.  Può così aiutarlo  a trasformare questa angoscia  e a  tollerarla, se fallisce in questo compito crea le premesse della sua patologia relazionale adulta.

Secondo Winnicott il bambino sviluppa la capacità di essere solo in maniera progressiva: prima in presenza della madre e successivamente, in maniera graduale, attraverso l’interiorizzazione di questa, fino alla possibilità di essere veramente solo, inconsciamente sostenuto dalla sua rappresentazione interna.

Un forte supporto empirico alle formulazioni post-freudiane dell’angoscia di separazione proviene dalle osservazioni effettuate da Bowlby attraverso i suoi studi sull’attaccamento. Questo autore concepisce l’angoscia di separazione come qualcosa di primario e biologicamente determinato. Emde nel 1981 e Stern nel 1985, evidenziano che fin dalla nascita il bambino mostra uno spiccato interesse per l’ambiente umano e ricerca selettivamente l’interazione con esso.

Come conseguenza della sua centralità nello sviluppo, numerosi autori postfreudiani pongono particolare enfasi sulla separazione in analisi, suscettibile di far emergere nel transfert gli antichi vissuti separativi del soggetto, fino a farne in alcuni casi l’aspetto centrale del trattamento e delle sue finalità trasformative.

Meltzer (1967) si sofferma sulla ciclicità del processo analitico, sottolineando come l’esperienza della separazione tenda a dominare l’inizio e la fine di tali cicli (seduta, settimana, segmento, anno di analisi): l’analisi è “dominata” da questo aspetto dinamico “fino a quando le ansie con esso connesse non siano state chiarite, di modo che la loro elaborazione possa avviarsi”.

Come suggeriscono Winnicott (1965) e la Klein (1963), l’esperienza della separazione è un vissuto profondo e difficilmente obiettabile, a partire dall’essenziale possibilità di sperimentarla in presenza dell’oggetto. Per converso, non sempre e non necessariamente sensazioni di vuoto, solitudine e distacco con le relative ansie e difese corrispondono in maniera lineare a situazioni di separazione in senso spazio-temporale.

 

Dr.ssa Mariachiara Pagone

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *