Chi soffre di depressione solitamente è trattato solo farmacologicamente e rivisto
periodicamente, questo significa lasciare la persona intrappolata all’interno di una
diagnosi, la cosa che invece servirebbe è capire cosa alimenta la depressione, cosa
dentro la persona fa ripresentare puntualmente ogni giorno il pensiero che niente
valga la pena di essere vissuto.
Consultare uno psicoterapeuta ad indirizzo analitico aiuta a non sentirsi soli in
questo viaggio attraverso la cura. Ciò può aiutare a non sentirsi sopraffatti e a
passare dal “non senso” della depressione come malattia al “senso” della
depressione come esperienza vissuta di una persona che ha la sua storia, la sua
fisionomia, il suo spazio nel mondo.
Il ruolo dell’analista è quello di dare un senso alla storia del soggetto, di far notare ad
esso i funzionamenti inconsapevoli che portano ad istaurare un malessere
depressivo, far esplorare all’ individuo il suo stile di vita, segnalare l’opportunità di
includere e/o escludere cause mediche ed in alcuni casi far integrare un trattamento
farmacologico.
Non ci si ammala di depressione nello stesso modo ognuno ha la sua modalità di
reazione alla malattia. Le cause scatenanti interne ed esterne possono essere
significative come traumi, lutti, separazioni ed altre volte sono invece ben celate da
non essere percepibili.
La bellezza del trattamento psicoanalitico è che rende il paziente soggetto attivo della
propria cura. Entrambi –analista e paziente- sono coinvolti nella comprensione della
malattia attraverso l’esplorazione delle radici intrapsichiche, familiari ed ambientali.
Questo per riavviare un processo vitale che inconsapevolmente si è interrotto.
Nelle fasi iniziali il paziente da al terapeuta il materiale in suo possesso come la
narrazione di eventi ed il racconto di sogni. Attraverso questi lo informa sul suo
stato affettivo ed emozionale. L’analista attraverso la sua tecnica lo aiuta a sciogliere
i nodi aggrovigliati dell’isolamento e del dolore.
Bisogna aiutare il paziente a comprendere che ci vuole tempo per trovare il giusto
ritmo ed il giusto adattamento al trattamento.
Il trattamento richiede tempo e impegno. Spesso la lentezza dell’evoluzione, i piccoli
cambiamenti non avvertiti dagli altri, ma sperimentati solo in seduta, potrebbero
creare confusione o frustrazione. Parlarne chiaramente con il proprio terapeuta aiuta
ad esplorare i sentimenti di disperazione e di impotenza che accompagnano la
guarigione e che a volte si manifestano con lunghe regressioni in cui sembra che nulla
cambi.
Fondamentale è il rapporto di fiducia che deve essere alimentato per tutto l’arco
dell’intervento. Il paziente e l’analista si confrontano con la malattia, con le sue radici
storiche e con le modalità attuali attraverso cui si manifesta.
Ma quanto durerà la terapia?
Freud avrebbe risposto: dipende dal passo del viaggiatore.
Seppur la malattia depressiva può manifestarsi con gli stessi sintomi, le persone che
ne sono portatrici sono differenti, ognuna con la sua storia.
Quando le trasformazioni apportate dall’intervento terapeutico saranno evidenti ad
entrambi, lo psicoanalista ed il paziente insieme decideranno come e quando
lasciarsi. Cioè concorderanno la fine del trattamento.
A fine trattamento, il paziente giunto in terapia come soggetto passivo in preda ad
uno stato depressivo che gli impediva di vivere, attraverso una lunga fase di
esplorazione sarà più consapevole delle sue modalità di funzionamento affettivo e
relazionale e potrà così agire attivamente su queste per controllare al meglio il corso
della sua vita.
Dr. Ssa Mariachiara Pagone