La fame è un bisogno fisiologico dunque innato. Alimentarsi è invece un’abitudine
che nasce con l’esperienza, all’interno delle relazioni.
La convivialità legata al cibo esiste da sempre. Mangiare non vuol dire solo assumere
cibo ma sta a significare assumere le regole della convivialità, dell’unione e della
tradizione familiare.
Ma qual è la valenza simbolica dell’alimentazione?
Ci sono dinamiche che si attivano tra il bambino e la figura di accudimento al
momento del pasto. È in questo momento che filtrano sentimenti, emozioni e
credenze che contribuiscono a formare i modelli mentali del bambino, gli “occhiali”
attraverso i quali guarderà non solo se stesso ma anche il mondo che lo circonda.
Con il cibo il bambino comunica alcune cose, che a voce non è possibile esprimere. Il
comportamento alimentare dunque può fungere da simbolo o sintomo visibile per
comunicare altro e sostituire in tutto o in parte sentimenti ed emozioni (ad esempio
rabbie, aggressività, rifiuti, vergogne e desideri).
Ci sono persone che usano il cibo come sedativo. Placa in modo temporaneo
l’irrequietezza e attenua l’angoscia. Spesso i genitori usano il cibo con il fine di
tranquillizzare i propri figli.
E’ così che il cibo assume significati diversi da quelli relativi al soddisfacimento della
fame. A volte il cibo diventa l’unico canale di comunicazione affettiva.
L’atto di nutrire un bambino rappresenta un’importante forma di comunicazione tra
un figlio e i suoi genitori. Questo è un momento importantissimo per il suo sviluppo
futuro. Tale momento comunicativo può diventare difettoso nel momento in cui il
genitore va ad anticipare quelli che pensa essere i bisogni del figlio. Anticipare
impedisce realmente al piccolo di comprendere i suoi reali bisogni egli perde fiducia
verso quelle che sono le sue sensazioni ed esperienze.
Non possiamo dimenticare le caratteristiche caratteriali del bambino quando si
determinano problematiche alimentari, in queste situazioni è necessario che l’adulto
si soffermi a capire cosa sta accadendo. Non bisogna concentrarsi sul cibo in sé, ma
su tutto il ciò che è attorno al momento del pasto.
L’intervento educativo non deve usare il cibo come strumento, ma soffermarsi sulle
dinamiche che si strutturano insieme al pasto.
Bisogna riflettere sui vissuti, il cibo è simbolo di un materno, fonte primaria del
nutrimento. Prima forma d’amore del genitore verso il figlio, il nutrimento identifica
l’amore nella maggior parte dei bambini in età molto precoce. Dunque il rifiuto del
cibo può essere letto come una rivalsa verso il genitore.
L’adulto ha il compito di sottrarsi da questo “ricatto affettivo” facendo rinascere il
desiderio e il piacere della condivisione.
Pranzare a tavola tutti insieme non è solo un rito che dovrebbe essere recuperato ma
deve essere un modo per insegnare ai più piccoli come interagire con gli adulti.
La tavola è sinonimo di intimità, condividerla implica fiducia e complicità.
Vi lascio con questa citazione :
“Non si mangia mai da soli, si mangia sempre alla tavola dell’Altro.” (M. Recalcati)
Dr.ssa Mariachiara Pagone