La peggior paura ..la solitudine: “Il piccolo principe”


Cos’è una favola?

Il termine italiano «favola» deriva dal termine latino “fabula”, raccontare. In origine indicava una narrazione di fatti inventati. La favola ha pertanto la stessa etimologia della “fiaba“. Sebbene favole e fiabe abbiano molti punti che le legano, i due generi letterari sono diversi:

  • i personaggi e gli ambienti delle fiabe (orchi,fatefolletti) sono fantastici, mentre quelli delle favole (animali con il linguaggio, i comportamenti e i difetti degli uomini) sono realistici
  • la favola è accompagnata da una “morale”, ossia un insegnamento relativo a unprincipio etico o un comportamento, che spesso è formulato esplicitamente alla fine della narrazione; la morale nelle fiabe in genere è sottintesa e non centrale ai fini della narrazione.

Tra le favole una delle più emozionanti, a mio avviso, è il piccolo principe di Antone De Saint- Exupéry che in questi giorni ho riapprezzato nella lettura.

È un magico e piccolo trattato di psicologia umana un viaggio sotto forma di favola in una realtà immaginaria vera più del reale.

La forza di quest’opera è la capacità di colmare le lacune linguistiche degli adulti sfruttando il linguaggio dei bambini , attraverso il quale si può coglie l’essenza di ciò che le parole non possono esprimere.

“Mostrai  il mio capolavoro alle persone grandi, domandando se il disegno li spaventava. Ma mi risposero: “Spaventare? Perché mai, uno dovrebbe essere spaventato da un cappello?” Il mio disegno non era il disegno di un cappello. Era il disegno di un boa che digeriva un elefante. Affinché vedessero chiaramente che cos’era, disegnai l’interno del boa. Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi.”  È così che inizia il piccolo principe…

Il poeta inizia dedicando la fiaba ad un adulto, per motivi di amicizia, e perché gli adulti ne hanno bisogno; ma poi “ per farsi perdonare dai bambini” corregge la dedica in questo modo: “ Leone Werth, quando era un bambino”. Da questa dedica trapela il tema principale del racconto, la necessità di legare l’adulto e il bambino, che coesistono  in ognuno di noi, non sono altro che due lati di una unica struttura psichica che non posso esse tenuti separati.

Un altro tema possiamo annunciarlo così “mi piacciono tanto i tramonti. Andiamo a vedere un tramonto…” .

L’uomo è un’animale sociale, difficile è vivere soli soprattutto da piccoli. La diade, composta da madre e bambino è il luogo principale nel quale si sviluppa non solo fisicamente ma anche mentalmente il bambino. I genitori accudiscono fino al debutto nella collettività. La paura più grande nei bambini e mascherata tra i giovani e gli adulti è la solitudine. Anche il Piccolo Principe teme la solitudine, ma l’affronta. Prima di partire deve lasciare la sua rosa. La stessa paura l’assale sulla terra , nel deserto: convinto di incontrare gli uomini. È qui che il serpente emette la sentenza sulla quale bisogna soffermarci a riflettere “ si è soli anche con gli uomini”.  In tutto il libro compaiono riferimenti si, all’amicizia, ma anche alla solitudine, alla tristezza e alla paura, quasi a sottolineare che nella vita, nonostante le belle esperienze, ci sono eventi duri da accettare, come la separazione, il distacco e la morte.

Spitz sostiene che già intorno agli otto mesi emerge il sentimento d’angoscia attribuito al bambino quando il caregiver si allontana dal suo campo visivo. Noi  psicologi siamo unanimi nel sostenere la positività della presenza di tale atteggiamento: significa che il bambino ha istaurato una relazione ciò che Bowlby chiama “attaccamento”.  Ecco il risvolto della medaglia : il sentimento angosciante della solitudine  indica che siamo consapevoli di come arricchisca la relazione con l’altro. Ecco che bisogna soffermarsi sulla positività di questo e da lì ricostruire la relazione deficitaria.

Il sentimento d’abbandono si manifesta ad esempio con la paura del buio, ma si manifesta anche a livello inconscio nelle paure mai ammesse come l’ assumere comportamenti regressivi, possiamo vederli quando nasce un fratellino ad esempio.  Nell’adolescenza il timore della solitudine diventa predominante. Vede la sua unicità che spesso è controcorrente. Ciò lo avvicina al timore di restar solo, di essere rifiutato dai coetanei.

Il messaggio del Piccolo Principe è quello che voglio sottolineare, un messaggio positivo: agire in solitudine è necessario e difficile, ma siamo una parte del tutto ciò che incontriamo, gli altri lasciano in noi delle tracce, quindi non siamo mai soli.

Dopo la morte del Piccolo Principe, all’avviatore restano cinquecento milioni di stelle che ridono e che non lo lasceranno mai.

 

Dr.ssa Mariachiara Pagone

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