Pongo alcune riflessioni e approfondimenti in merito all’articolo pubblicato la scorsa settimana “Frida Kahlo: segno tangibile di terapia”, lo faccio perché alcuni lettori mi hanno fatto ben notare che l’articolo poteva essere maggiormente discusso su alcuni punti. Ovviamente cerco sempre di essere leggera negli articoli per poter essere di facile lettura ma è giusto anche che risponda ad una giusta osservazione rivoltami.
Nell’articolo accennavo ad una serie di opere di Frida “le emozioni”, opere meno conosciute che hanno catturato la mia attenzione. Non sono altro che una serie di composizioni astratte realizzate con pastelli colorati, disegnate a scopo psicoterapeutico. Linee curve e a zig zag che segnano il foglio in modo impetuoso quasi stridente e rumoroso e in alti punti assai leggere come se tracciate dalla leggerezza del suo essere. Forme e colori che le permisero di esternare emozioni e sentimenti (la figura 1 e 2 sono a scopo esemplificativo in quanto Frida rappresentò tutti i suoi stati d’animo ma come dicevo precedentemente essendo poco conosciute poche sono le immagini reperibili). La separazione da Diego Rivera rappresentò per Frida Kahlo un vero
e proprio trauma, tanto da portarla a pensare al suicidio. In quel periodo la aiutò molto una sua cara amica, la psicologa Olga Campos, che le suggerì di rielaborare attraverso la pittura, i pensieri del suicidio, per tentare di aiutarla a guarire proprio come faceva fare ai suoi pazienti. Elaborati che Frida aveva visto e dai quali era rimasta molto colpita. Nelle sue opere realizzate in quel periodo, sembra chiaro come riuscisse a vivere in modo quasi simbiotico il dolore e l’amore, raffigurati sempre come elementi vicini, senza che riuscisse a tenerli distinti, neanche nei suoi quadri.
Perché mai il mio interesse su queste opere?
Perché proprio come Frida anni fa rimasi sconvolta, turbata ma completamente avvolta da quadri di malati psichiatrici. È a Firenze che ho conosciuto questa realtà ed è li che è rimasta intrappolata la mia anima. E’ in un ex manicomio psichiatrico che oggi ospita un centro di attività espressive “La Tinaia” che vivono le emozioni di pazienti liberati dalle loro catene con l’uso di un pennello. La loro più profonda realtà vibra e trema in quelle rappresentazioni che come vortici d’aria ingoiano l’osservatore. Rapita e affascinata ho capito che non esiste modo migliore per esprimersi se non con una forma d’arte. Non è la bravura del soggetto o la bellezza del prodotto ma la potenza emotiva di quei segni. Tracce indelebili di un vissuto tormentato. Dolori e sofferenze intrappolate in un corpo dove la migliore prosecuzione e liberazione è data proprio da quel foglio, da quella tela da quella qualunque superficie che libera un mondo alternativo dando la possibilità di vivere ancora. Sono queste Grida di silenzio!!
Mi sono così chiesta sul come si possa rispondere al dolore e la mia unica risposta è stata “la creatività” perché anche esile è comunque un seme che nutrito va a germogliare. Anche se la creatività fa fatica ad uscire non dobbiamo temerla anzi dobbiamo instancabilmente alimentarla, possiamo riprendere le parole di Antonio Mercurio : “il dolore ha un potere tremendo che scava come una trivella negli abissi dell’anima ed estrae l’oro nero che fornisce l’energia senza la quale nessuna bellezza si può creare”. Ecco che il dolore diventa creativo perché ci permette di creare dentro noi nuove forme di vita. Esso è forza motrice, da origine ad una bellezza sia in noi che fuori di noi. Il dolore con-vive con la vita ed è per questo che esso è connesso con la gioia. Emanuele Chimienti dice: “La gioia non è assenza di dolore, ma presenza di un modo di porsi…essa non può scaturire né dal passato né dal futuro ma dal presente: essa è possibile in qualsiasi momento e in qualsiasi posto” se la si cerca, la si desidera, la si vuole, la si crea dentro di noi.
È da tutto questo che nasce il mio interesse per le arti terapie e per la potenza che questo strumento possiede. Come psicologa ho una formazione all’ascolto del disagio e della sofferenza, le persone mi permettono di entrare li dove vietato è l’accesso di molti, ma perché non sfruttare tutti i miei sensi per entrare in sintonia perfetta con la persona che si rivolge a me, perché non trovare un altro modo per entrare in comunicazione e sintonia baipassando la semplice parola? Ecco che l’arte terapia è tutto questo, è la chiave per aprire un cassetto chiuso da anni o da sempre. È il percorso di regressione che abbatte le armature della censura. Spero di aver risposto a quanto chiesto e mi aspetto sempre da voi un produttivo scambio. Vi lascio con una citazione:
“Spesso le mani sanno svelare un segreto attorno a cui l’intelletto si affanna inutilmente” (Jung)
Dr.ssa Mariachiara Pagone